AUDIZIONE V COMMISSIONE LEGISLATIVA “CULTURA, FORMAZIONE E LAVORO” ARS – 19 GENNAIO 2021
RELAZIONE SULLA “CARTA DI CATANIA” (D.A. N. 74 DEL 30/11/2020 E D.A. N. 78 DEL 10/12/2020)
Ringrazio il Sig. Presidente della V Commissione e, gli Onorevoli Componenti per aver permesso all’Associazione SiciliAntica, nella persona dell’avv. Nunzio Condorelli Caff, di essere audita avanti Codesto Collegio.
Quando si parla dell’immenso patrimonio di reperti archeologici e di opere d’arte conservati all’interno dei depositi degli Istituti periferici dell’Assessorato BCIS, si affronta una questione assai spinosa e di difficile risoluzione.
Nella communis opinio, e non solo, questi depositi vengono percepiti come dei “sancta sanctorum” chiusi e inaccessibili a tutti se non a pochi “addetti ai lavori” che però non sempre sanno cosa effettivamente ci sia al loro interno perché ad oggi non solo non esiste una catalogazione completa e definitiva dei Beni in essi conservati ma nemmeno un quadro complessivo di quanti siano i depositi regionali, talvolta di fortuna o temporanei, che li contengono.
Negli “Atti di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei Musei” (2001) se da un lato si afferma che “l’accesso ai depositi da parte del pubblico e del personale non direttamente addetto deve essere regolamentato e controllato”, dall’altro si evidenzia anche che “la consultazione degli oggetti non esposti va comunque garantita, nel rispetto delle condizioni di sicurezza, secondo criteri definiti e resi pubblici”.
La Carta di Catania, dunque, costituisce un primo importante passo che va in questa direzione aprendo finalmente al pubblico questi “sancta sanctorum” e promuovendo una catalogazione e una rivalutazione inventariale di tutti quei Beni che, dopo la riforma della L.R. n. 80/1977, sono passati dal demanio dello Stato a quello della Regione Siciliana, con il trasferimento di centinaia di migliaia, se non milioni, di oggetti rientranti nelle categorie descritte dal Codice Urbani. Tale delicata e fondamentale operazione, come previsto dall’articolo 9 del D.A. n. 78 del 10 dicembre 2020 contenente le “Linee Guida” della Carta di Catania pubblicata con il D.A. n. 74 del 30 novembre 2020, non sarà affidata a tirocinanti improvvisati e incompetenti, come qualcuno cerca in tutti modi di far credere, ma agli stessi Istituti periferici dell’Assessorato che potranno avvalersi “prioritariamente degli esperti catalogatori e dei catalogatori che prestano servizio nella Società in house Servizi Ausiliari Sicilia, ovvero con l’ausilio di studenti universitari in discipline connesse alla conservazione dei beni culturali che operano in regime di tirocinio formativo, oppure volontari delle associazioni culturali che abbiano adeguati titoli”. Peraltro, sempre nelle “Linee guida” (articolo 4) è prevista la figura del “conservatore tecnico”, di cui il “concessionario” dovrà obbligatoriamente dotarsi che dovrà essere un tecnico (archeologo, bibliotecario, demoetnoantropologo, antropologo fisico, restauratore di beni culturali, etc.), in possesso di “adeguata formazione professionale”.
Così per la prima volta opere d’arte e reperti archeologici che in molti casi sono abbandonati e dimenticati da decenni, potranno essere tutelati, valorizzati e restituiti alla pubblica fruizione, nella logica di una proficua collaborazione tra pubblico e privato, sotto la stretta sorveglianza di Soprintendenze e Musei. Con la consapevolezza che i Beni Culturali appartengono alla collettività dello stato di diritto, che comprende non solo coloro che si occupano direttamente di tali Beni per ruolo istituzionale, ma anche le associazioni legalmente riconosciute, o gli enti pubblici che includono tra le loro finalità la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale.
La Carta di Catania – come pure i Decreti Assessoriali che l’hanno normata – è attuativa della Costituzione italiana. Precisamente, l’art. 9 (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) e l’art. 33, qualificati come Costituzione culturale, base di quel “diritto della cultura”[1].
Nell’art. 9, i Padri Costituenti hanno voluto che lo Stato italiano svolgesse due compiti precisi: il primo, attivo e d’attacco, di promozione (id est valorizzazione); il secondo, difesa attiva, di tutela.
Attuativo del dettato costituzionale è il D.Lvo 42/2004: fin nel suo primo articolo, riprendendo la formula costituzionale, il legislatore ha statuito che lo Stato, in tutte le sue articolazioni territoriali deve assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale, favorendo la fruizione e la valorizzazione[2].
Per garantire la concreta applicazione dell’art. 9, la Costituzione “delinea uno scenario nel quale le opportunità materiali di espressione possono scaturire dall’azione di privati (singoli o associati)”[3].
Ciò che i Padri costituenti avevano ben chiaro era quello di ribadire che i beni culturali (ai sensi degli art. 10 e 11 del Codice Urbani) non rientrano fra le normali res, in quanto la loro proprietà non è (solo) del proprietario, ma dell’umanità. E scopo primario è quello di tramandare i detti beni alle future generazioni.
La Carta di Catania, ben conscia delle fondamenta del diritto della cultura, si è posta come principio base quello di valorizzare e tutelare i beni culturali che attualmente si trovano giacenti nei depositi e che oggi per il loro 80% non sono nemmeno inventariati, con tutti i rischi che ne conseguono; la sua corretta applicazione quindi consentirà per la prima volta di valorizzarli, aumentandone la conoscenza diffusa.
L’intervento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali rientra fra le ordinarie attività che molti enti preposti alla tutela già realizzano (ad esempio esponendo in chiese, caserme e musei collezioni o singoli beni contenuti nei depositi); esso però non può essere considerato come suppletivo dell’attività degli enti preposti alla tutela, bensì come integrativo e subordinato alle esigenze di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Il codice, con la ratio della valorizzazione e tutela dei beni culturali, disciplina il prestito nell’art. 48 e nell’intero capo II, Principi della valorizzazione dei beni culturali.
Importante e chiarificatore è sicuramente l’art. 112 il quale lega l’attività di valorizzazione dei beni culturali ad una funzione socialmente utile, volta a garantirne l’accesso e la fruizione. Continuando nella lettura del codice, l’art. 112 prevede la partecipazione dei privati per adesioni agli accordi, mentre l’art. 120 disciplina la sponsorizzazione.
Naturalmente al privato non compete l’iniziativa della valorizzazione, in quanto essa è demandata solo all’ente preposto alla tutela, sussistendo la competenza esclusiva dello Stato e degli altri enti territoriali, ma solo una partecipazione.
Questo documento, pertanto, va considerato un importante punto di partenza e non di arrivo, un primo perfettibile regolamento dei rapporti di gestione dei Beni in giacenza presso i depositi, stilato nel pieno rispetto dell’art. 9 della nostra Costituzione, del Codice dei Beni Culturali (artt. 112 e 115) e delle leggi regionali in materia.
Il Presidente Regionale
Prof.ssa Simona Modeo
[1] V. Pizzorusso, Diritto della cultura e principi costituzionali, in Quad. cost. 2/2000, pag. 317.
[2] Nel termine valorizzazione va ricompresa anche la gestione dei beni culturali. Così C.St., parere n. 1794/2020
[3] Ci si riferisce a Clemente di San Luca, Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2005, pag. 63 e ss.